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L’EDITORIALE

 

LA SOSTENIBILITÀ MISCONOSCIUTA DELLE IMPRESE DELL’ECCELLENZA TOTALE

Mai come oggi si parla di sostenibilità ambientale e transizione ecologica.
Forse perché ci sono in ballo svariati miliardi che il Recovery Plan metterà a disposizione dei progetti più virtuosi in questo settore. Eppure c’è qualcuno che può vantare credenziali in regola da tempi non sospetti in questo campo. Sono le aziende tessili, una volta considerate tra le più inquinanti e impattanti sull’ambiente, che dalla fine del secolo scorso hanno però saputo trasformare questa loro immagine negativa in un vantaggio competitivo, garantendo la salubrità dell’aria e dell’acqua intorno ai loro stabilimenti e l’utilizzo di sostanze sempre meno pericolose per la salute.
Un’etica dell’impresa che non si è fermata solo agli aspetti ecologici, ma che ha spinto le nostre imprese a intraprendere una lunga battaglia anche contro lo sfruttamento del lavoro minorile, gli ambienti di produzione malsani e la sicurezza degli operai. Per non parlare, se si vuole citare la transizione digitale, altra caratteristica fondamentale del grande piano europeo post-Covid, delle innovazioni tecnologiche che da circa 40 anni pongono le aziende del tessile-abbigliamento-moda ai vertici dell’automazione del lavoro e dei processi produttivi evoluti e innovativi a livello mondiale, in stretto raccordo con le imprese del sistema meccano-tessile.
C’è però un problema: tutto questo lavoro e questa evoluzione costante non sono riuscite a cambiare oltre una certa misura l’immagine di quelle fabbriche considerate (a torto) ancora oggi come le vecchie filande dei primi del ’900. Colpa di una comunicazione che non sempre è stata in cima alle esigenze di comunicazione di questo sistema produttivo, ma che oggi è diventato invece indispensabile per comunicare ai mercati mondiali un valore aggiunto che potrebbe giocare un ruolo decisivo nella competizione con le imprese dei Paesi in via di sviluppo e con quelle del gigante cinese.
La qualità va oltre l’eccellenza di un prodotto e, come insegnano imprenditori diventati veri e propri “guru” dell’impresa etica e sociale, deve necessariamente investire la fabbrica, i suoi processi, la sua gente e la comunità circostante. Cose note nei distretti del tessile, che conta ancor oggi, nonostante le ripetute crisi cicliche mondiali, ma che a volte fa fatica a uscire dal guscio del legittimo orgoglio di questa categoria di imprenditori.
La svolta comunicativa, attraverso la quale è possibile informare il mondo che siamo di fronte a un fenomeno industriale che da decenni è impegnato su questi fronti con successo, non è più rinviabile.