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L’EDITORIALE

 

DOPO LA GRANDE PAURA RIPARTIAMO DA NUOVE CERTEZZE

All’alba del terzo millennio ci siamo riscoperti fragili, deboli, con davanti a noi un futuro di grande incertezza.
Tutto ciò che davamo per scontato oggi non lo è più: non sappiamo neppure come potremo vivere e lavorare da qui a pochi mesi. L’emergenza Covid ha spazzato via le nostre abitudini e con esse anche le nostre certezze.
Una situazione che oggi impone scelte importanti e forti.
Dobbiamo riprogettare il nostro modo di vivere, gestire i rapporti privati e pubblici, programmare i nostri consumi e rielaborare le nostre capacità produttive.
Non sarà un lavoro facile, ma neppure impossibile, sicuramente necessario. Il piccolo universo del buongusto, dell’eleganza, della moda e del lusso è stato il settore che tra i primi ha cominciato a rimettersi in discussione. Lo ha fatto con i suoi più prestigiosi opinion leader, ma anche con i più misconosciuti artigiani, cominciando a tessere un lungo filo che legherà insieme un mondo che, grazie alla sua creatività e intelligenza, siamo certi sarà tra i primi a rimettersi in pista per riappropriarci del nostro futuro.
La parte più difficile del lavoro sarà quella di individuare una nuova strategia da seguire, magari mettendo da parte scelte che fino a ieri sembravano imprescindibili e che invece oggi, dopo la tragedia, non sembrano più così ineluttabili e neppure così necessarie. Anche perché il nostro mondo negli ultimi anni ha vissuto troppo spesso sul superfluo, sul virtuale, sul teorico. Una tendenza a fuggire dalla concretezza che si è moltiplicata in modo esponenziale grazie al processo di globalizzazione. Ci siamo illusi che il mondo fosse diventato più piccolo e che noi, grazie alla pervasività dei mezzi di comunicazione sempre più potenti e tecnologici, fossimo diventati dei giganti in grado di viaggiare ovunque con questi “stivali delle sette leghe” telematici, che invece ci hanno fatto dimenticare l’autenticità fuori dall’uscio di casa nostra.
Oggi qualcuno comincia a mettere in discussione la mediaticità assoluta di certe presentazioni di collezioni di moda o l’immaterialità suprema degli eventi per la presentazione di un prodotto, all’interno dei quali l’ultima cosa che contava era diventata proprio quest’ultimo. Un buon inizio per dimostrare di avere imparato la lezione sul rischio di rincorrere l’effimero e l’esteriorità, sarebbe quello di tornare a toccare e a far toccare con mano le nostre abilità di produttori. Potrebbe essere la grande rivincita, attesa da anni, della manifattura, dell’artigianato, della prossimità dei consumi, dell’autenticità identitaria che troppo spesso è stata sostituita dalla visibilità di un marchio, dietro al quale, troppe volte, non era rimasto nulla di consistente.
E allora diciamolo ancora una volta: andremo verso un mondo migliore se sapremo ripartire dalla bellezza, ma una bellezza concreta, che si può toccare, che è utile alle cose che dobbiamo fare nella nostra vita quotidiana. Una bellezza che non finisce quando si spegne un monitor, ma che continua a vivere in un oggetto di arredamento, in un abito in un armadio, su una tavola imbandita, in un paesaggio che si può godere solo se ci trova sul posto. E allora non dobbiamo avere paura di inseguire di nuovo questo valore, riuscendo però a comunicarne la concretezza.
La nostra rivista di Made in Biella, cioè fatto, fabbricato, progettato, ideato a Biella, intesa più che come luogo come stile di vita.
Quindi dobbiamo rilanciare la figura di chi fa la bellezza, non di chi sa solamente rappresentarla o creare una suggestione di essa. Perché non esiste virus che possa sconfiggere la bellezza. Quella vera però.